A quanto pare è finito un altro anno e, ripensandoci, quante cose porterà via con sé…
Abbiamo quasi dimenticato la catastrofe di Fukushima con pochi mesi e un referendum dagli esiti inaspettati; e poi i terremoti, le alluvioni, la bella Italia che sgocciola via, con il suo fango e le sue illusioni.
Stavamo affogando nell’oblio di una crisi economica della proporzioni mondiali, quasi quasi avremmo volentieri dimenticato anche quella (non volevamo proprio crederci): ma per fortuna è arrivato lo spread.
La più bella partita dell’anno? Finanza- Politica 1-0 (partita secca, senza bisogno di supplementari, rigori, senza polemiche arbitrali). Premio rivelazione dell’anno.
Abbiamo conosciuto finalmente i poteri forti che guiderebbero il mondo; e abbiamo allungato la lista di chi di potere non ne ha proprio.
L’Africa finalmente si è fatta sentire, una ventata di primavera e d’azione che ci ha regalato, certo, un po’ di speranza ma anche tanti morti.
Dicono sia il prezzo della libertà. Dicono che questa sia la libertà.
Siamo stati talmente presi dal Mediterraneo turbato poco sotto di noi, che abbiamo finito per dimenticarci il corno d’Africa e la carestia che lo ha messo in ginocchio.
Ma non era già in ginocchio?
Tenere troppe cose a mente non è certo da paese civile.
Il mondo, dopo quest’anno, avrà alcuni tiranni in meno (per lo meno tra quelli celebri e universalmente riconosciuti): Bin Laden e Gheddafi, tra funerali concessi e foto negate. Passa un brivido a pensare come, dopo un’intera vita passata nel sangue e nella ribalta mondiale, tutto si concluda in pochi minuti; tutto, al più, si dimentica in pochi mesi.
Meglio si normalizza e non è più un caso, non crea più un caso.
Una notizia dura poco, la prima pagina è un lusso veloce e passeggero.
In Italia, poi, quest’anno abbiamo capito anche un’altra cosa: la sottile differenza tra lo sfruttamento della prostituzione e la solidarietà nei confronti delle più povere. Ma tutto questo è questione squisitamente etica, quasi frivola per la sua inconsistenza.
Niente a che fare con la finanza, con il mercato azionario, con le grandi banche.
Ci siamo commossi, ed è questa la nostra risorsa, ci siamo riconosciuti tutti in un ragazzo che muore di corsa, in un sogno che finisce alla svelta. Ci siamo riconosciuti di nuovo in una dignità che ci stavano insegnando a non avere. D’improvviso eravamo tutti là, tutti insieme. Nessuna polemica. Nessun regionalismo.
Abbiamo pianto il padre del futuro che ci ha lasciato; la commozione nell’i-phone. Lo abbiamo pianto per il suo genio; ma sopratutto perché quando il futuro diviene passato, il cambiamento è necessario. E fa paura. Una piccola resistenza.
Ci siamo stretti davanti al tricolore, a pensare che di anni ne sono passati 150. Un momento di intimità e di onestà, prima di ritornare a rivendicare la secessione a colpi di formaggio stagionato.
Evidentemente, in 150 anni non si è trovato argomento migliore.
E’ stato, inoltre, l’ennesimo anno all’insegna del delitto perfetto: che poi sorge il dubbio che anche se tanto perfetto non è, l’unica scocciatura certa sono gli anni di processo da affrontare.
Abbiamo abusato quest’anno della fiducia, ma solo della versione parlamentare e politicizzata di essa. Ma ora è iniziata un’altra storia. Certo tutta da dimostrare.
Lo chiudiamo con il problema delle pensioni quest’ anno, croce e delizia di ogni programma politico; lo chiudiamo nell’austerità economica, ma anche nell’eleganza formale. Lo chiudiamo, infondo, come si chiudono tutti gli anni, un po’ confusi tra ciò che è stato e ciò che sarà.
Tra la speranza e la paura, l’aspettativa e la delusione.
Buon anno,
Magnolia