"La gente a tutto è disposta a rinunciare, fuorchè ai propri errori."

(Indro Montanelli)







giovedì 27 giugno 2013

HELL IS OTHER PEOPLE

Il mondo dei social network corre sempre più velocemente, le app a disposizione negli store digitali si moltiplicano esponenzialmente, ogni giorno ci viene messa a disposizione una possibilità in più, di solito una comodità, una semplificazione o un amplificatore di socialità.

Esponenziale e parallela è poi la crescita dei detrattori, dei critici, dei naturisti in ambito tecnologico: ci sono gli “integralisti della pacca sulla spalla” ovvero coloro che hanno scelto a monte di non fare parte del mondo social, perché incapaci di prescindere, nei rapporti umani, dal contatto oculare; poi ci sono i “tolleranti”, ovvero coloro che cercano l’ “aurea mediocritas”, il giusto mezzo in materia di connessione perpetua. I tolleranti sono un gruppo molto variegato, poliedrico e sfuggente, cavillano su taluna o talaltra app, utilizzano argomentazioni squisitamente teoriche ed attingono alle tematiche tradizionali dell’identità, della socialità, della libertà. A ben guardare, sono i retori più appassionati.
Esercizi di dialettica.

Ma sfogliando il giornale (per una maggiore precisione, scorrendo la schermata di un quotidiano online) oggi noto un articolo che presenta un nuovo social network  disponibile anche come applicazione per smartphone: “Hell is other people” ideato da Scott Garner. Volendo consapevolmente prescindere dal nome altisonante e sicuramente d’effetto, questo progetto sembra nascere dalla volontà di evitare gli altri, di rimanere beatamente soli. Il funzionamento, da quanto scritto, sembra molto semplice: nel momento in cui si accede, è obbligatorio scrivere dove ci si trova (così come su facebook è possibile effettuare il check-in) così che gli amici nelle vicinanze possano vedere la nostra collocazione e evitarci senza troppa difficoltà.

A pensarci bene, quante volte ciascuno di noi avrebbe voluto evitare una chiacchierata, un saluto ma non ha potuto, perché il caso ha posto quella persona sulla nostra stessa strada? Garner oggi ci ha fornito un nuovo strumento nella nostra lotta quotidiana.

Ma non sono certo qui per riflettere sui problemi della socialità e della comunicazione odierna: tanti se sono occupati e se ne occupano, possedendo le competenze necessarie o meno, ogni giorno.
Ciò che ho pensato, lo confesso, è che ci si è limitati ad utilizzare uno strumento fortemente “social” per raggiungere esattamente l’esito opposto. Al di là del risultato, mi chiedo se l’utente non possa provare un senso di fastidio, nella sua ricerca della solitudine, nel comunicare a tutti dove si trova, quanto distante dagli altri. Per una persona che vorrebbe rifuggire l’incontro con quelle persone che vengono registrate come amiche, richiedere di iscriversi ad un social network, inviare delle richieste di amicizia e comunicare loro, seppur con l’intento di evitarle, dove ci si trova è veramente un risultato grande.

Chissà qual è, se ce l’ha, il vero obiettivo di  Scott Garner? Magari sta conducendo uno studio sociologico sugli asociali e vorrebbe sperimentare nuove forme di socializzazione passiva.

E se ci fossero, invece, degli infiltrati? Se qualcuno utilizzasse, magari anche solo inconsciamente, la geolocalizzazione degli altri utenti per incontrarli, invece che per evitarli?

Certo, sarebbe proprio una beffa per un nome (Hell is other people) così altisonante…    

mercoledì 26 giugno 2013

VOGLIO DIVENTARE GRANDE!

Voglio diventare grande! Chi può aiutarmi a diventare grande? C’è qualcuno che possa aiutarmi? Sono stanco di essere solamente un bambino…voglio diventare un uomo!

Gridava forte quel piccoletto, con tutti i polmoni gonfi della sua voglia di cambiare. I suoi occhietti erano fieri ed altezzosi, ma la voce tradiva tutta la sua disperazione.

“Qualcuno qui ha voglia di crescere? Sei proprio sicuro di volerlo davvero?!” ecco farsi dappresso un ragazzetto, adulto anch’egli solo da pochi pleniluni.

“Certo che lo voglio: è la cosa che più vorrei in tutto il mondo! Voglio diventare forte come papà, voglio farmi crescere la barba e voglio perfino mettere la cintura ai pantaloni. Cosa può esserci di più di bello?! Puoi aiutarmi allora?”

“Dunque….” disse assumendo la posa di un professore a lezione “per essere grande devi, come prima cosa, smettere di piagnucolare, i grandi non lo fanno di certo! Poi devi smettere anche di avere paura: buio, fantasmi e qualsiasi altra cosa. Un adulto non ha mai paura, ricordalo. Infine, ed è la cosa più importante, devi assolutamente smetterla di cercare sempre la mamma. Più si cresce e più si sta bene da soli: si chiama indipendenza sai!

Hai capito adesso? Così si diventa grandi!”

Il bambino lo guardò con un visetto triste e spaventato, mentre gli occhi già si riempivano di lacrime: “Ma come faccio senza la mamma? Non esiste un altro modo per diventare grandi?”

“Ma certo che esiste” sospirò un uomo sorridente e calmo, che avrà avuto l’età di suo padre.
“Ascoltami bene: per diventare davvero grande devi, innanzitutto, trovarti un lavoro; anzi, un buon lavoro che ti piaccia e che ti faccia guadagnare molti soldi. Poi devi trovarti una fidanzata, bella ma anche brava, perché dovrà starti accanto per tutta la vita, e sarà faticoso. Infine potrete cercare una casa, magari con il giardino; all’inizio prenderete un cane, e poi avrete i vostri bambini. E a quel punto saranno loro a dover crescere.

Questo significa diventare grandi.”

“Ma come faccio a fare tutte queste cose? Sembrano davvero difficili! E poi, non penso proprio che avrò mai una fidanzata!” ci pensò un attimo e poi riprese: “Come vorrei, però, diventare grande…. ”

“Cosa vuoi tu, piccoletto?” rispose la sagoma di un vecchio, con la voce roca e stanca. Era di spalle. “Diventare grande….fammi pensare. Esiste solo un modo per crescere davvero e non è certo il più semplice: crescere, ragazzo mio, significa imparare ad aspettare! I bambini come te hanno sempre voglia di fare qualcosa di nuovo, di scoprire, di correre; conoscete bene la fretta, ma non considerate mai il tempo. Non avete proprio pazienza. Il gioco che volete, lo volete in quest’esatto momento, e comprarlo domani per voi non è più la stessa cosa. Arriverà il giorno, invece, in cui ti scoprirai ad aspettare un gioco, una situazione, una persona: sarai calmo, non urlerai e non piangerai…semplicemente aspetterai. In quel momento sarai diventato davvero un po’ più grande.

Ma da quel giorno in poi, tanta strada avrai ancora da fare, tante cose da imparare e tante emozioni da scoprire. Ma queste non te le posso proprio svelare…”

Si voltò solo dopo aver pronunciato queste ultime parole, pronto ad incontrare lo sguardo deluso di quel bambino determinato. Ma solo allora scoprì, senza troppa sorpresa, che se n’era già andato.

LA SCOMPARSA DELL'ORSETTO

“Aiutatemi, aiutatemi! Non riesco più a trovare il mio orsetto di peluche!”

“Dove può essere finito, il mio piccolo amico? La mamma dice di non preoccuparmi, dice che magari si è nascosto da qualche parte in casa. Dice che lo troveremo e che starà di nuovo con me, il mio compagno di ogni notte.

Mentre lo dice, però, abbassa la testa, guarda il pavimento e fa un piccolo sospiro. Poi, riprende le sue faccende, dopo avermi regalato un timido sorriso. Anche lei è preoccupata, lo vedo, non sa certo se tornerà…

Tutto è cominciato qualche giorno fa, avevo invitato i miei amici a giocare a casa mia: dovevamo sfidarci con il mio nuovo gioco per la playstation. Dovevamo stare in camera mia e, così, ho pensato di togliere tutti quei pupazzi…sembrava la camera di un bambino piccolo!

L’ho messo nell’armadio, al buio… forse ce l’ho tirato, senza neppure guardarlo. Poi, ho giocato per ore con i miei amici, senza pensarci più. Credo di non averlo cercato neppure per dormire quella notte. Era al sicuro, infondo…

Però, da quel giorno non l’ho più visto: forse nell’armadio c’è un buco magico e profondo, forse ci sono i folletti e l’hanno rapito…forse era offeso e se n’è andato!

Ora dormo senza di lui la notte, tutto solo nel mio lettino e non ho più paura; mamma da qualche mese spegne anche la luce e poi scompare dietro una porta chiusa. Di giorno, dopo i compiti, c’è lo sport, ci sono gli amici, e pure la playstation. I giorni passano e solo ogni tanto, quando sono solo, penso al mio orsetto.

Non l’ho più trovato…forse non l’ho neanche più cercato.”

Da quando sono diventato grande, ho pensato mille volte a cosa potesse voler dire crescere; ho cercato dei momenti, dei ricordi precisi, degli eventi simbolici. Non ho trovato grandi risposte. Solo una cosa per me è certa: quando è scomparso il mio orsetto mi sono sentito grande per la prima volta. Il tempo, poi, è passato velocemente e c’erano tante cose da fare; ma solo ora capisco che quel giorno oltre a diventare grande, ho anche provato per la prima volta un sentimento del tutto nuovo. Un sentimento che non conoscono i bambini e che non dovrebbero mai conoscere: quel giorno, senza il mio orsetto di peluche, ho conosciuto, per la prima volta, la solitudine.


Si diventa ogni giorno più alti, con la presunzione di non fermarsi mai. Giorno dopo giorno, si imparano parole nuove, e si usano subito tutte per raccontare le esperienze nel mondo. Si conoscono le regole e si impara, seriamente, a rispettarle. Almeno un po’, si smette di sognare.
Si possono costruire tante definizioni per un bambino che cresce, ma solo le immagini possono davvero raccontarlo: un peluche impolverato in soffitta, un pallone sgonfio in garage, le ginocchia senza più ferite quotidiane, uno sguardo che perde un po’ di immaginazione e un sorriso che ha conosciuto la diffidenza.