In questa estate così poco
convincente ho incontrato un libro che mi ha lasciato addosso una sensazione di
straniamento e una riflessione sottile che continua a bussare alla mia porta.
La storia si basa su una supposizione, una proiezione fantastica in un mondo
ipotetico fin troppo reale. Supponiamo che un giorno qualsiasi, in una città
qualsiasi un uomo fermo al semaforo diventasse improvvisamente cieco;
supponiamo che, come sempre, l’evento susciti curiosità e moderata
preoccupazione tra gli astanti e tra coloro che lo vengono a sapere. Così
inizia il libro “Cecità” di Josè Saramago, e già dalle prime battute
l’interrogativo che ci viene posto con forza non riguarda la fantasia ma il
nostro mondo così crudo e reale. Ecco allora la banalità di chi prova ad approfittarsi
dell’improvvisa invalidità, delle debolezza, della paura.
Finora niente di nuovo. Ma se
poi, con una velocità disarmante, questa misteriosa malattia si diffondesse
seguendo sconosciute regole di contagio? Se nell’arco di una giornata tutti coloro
che hanno avuto a che fare con il misterioso cieco avessero anche loro perso la
vista? Nell’arco di pochi giorni si crea un esercito di persone che non vedono
altro che il candore agghiacciante del bianco; la sicurezza pubblica impone la
quarantena, l’allontanamento dei contagiati, l’allestimento di strutture per
ospitarli ed isolarli.
Cosa succede là dentro, in un ex
manicomio, in cui non esistono infermieri, aiutanti, pulizia? Chi aiuta quei
poveri ciechi, che non hanno ancora imparato ad esserlo e tentano di aiutarsi
vicendevolmente, per quel poco che vale. Qui Saramago non è avaro di
descrizioni e particolari del degrado che può subire la vita umana e
dell’annientamento di ogni dignità. Cos’è poi la dignità? Un concetto sociale,
civile a tal punto da scomparire insieme alle dorate regole del nostro piccolo mondo. Così ci si approfitta,
si diventa avidi ed egoisti come non avremmo mai pensato di essere, si uccide
se necessario, e si scopre che non era poi così difficile come pensavamo.
Gentile e saldo filo conduttore
nella vicenda, una donna. Una moglie devota che si finge cieca per seguire il
marito ed aiutarlo, e finisce per assistere tutti coloro che le orbitano
intorno. La cosa più interessante e più spaventosa, il tema che ci mette
violentemente davanti alla pochezza del nostro mondo, è la terribile condanna
che subisce questa donna, alla quale non è stata tolta la vista ma ha subito di
peggio: è stata obbligata a vedere la malattia, la morte, la distruzione e la
disperazione attraverso i suoi occhi ogni giorno più stanchi. Quella donna è
rimasta sola a contemplare la debolezza e l’estrema precarietà della vita
umana con i suoi soli occhi e la sua sola forza.
Chi riuscirebbe a vedere così tanto?