"La gente a tutto è disposta a rinunciare, fuorchè ai propri errori."

(Indro Montanelli)







mercoledì 25 gennaio 2012

2. PINNA D'INGRANDIMENTO


... ... ...     ... ....
Non saprebbe dire come sia arrivato sin lì, non ricorda il momento della partenza…forse nuotando nel lago ha scoperto un fiumiciattolo e così è stato trasportato dalla corrente (è sempre stato un avventuriero, o perlomeno lo ha sempre pensato!). Ma poi? Come era finito quaggiù?
Del passaggio dal lago a qui ricorda solo alcune immagini confuse: c’è acqua trasparente, niente alghe, non sembra un lago, la superficie dell’acqua sembra da ogni parte, perché da ogni parte si vedono la luce, i colori, il mondo…sembrava di essere in un cerchio, in una palla d’acqua.
Poi in un attimo, una cascata…ed eccolo qui, in un posto indecifrabile, probabilmente molto lontano da casa, senza minacciosi mostri, senza ami provocatori…senza nessuno.

Se Trotsky dovesse descrivere questo suo nuovo habitat a qualcuno (supponendo che il destino lo avesse aiutato e gli avesse portato qualche pescetto con cui parlare!!!) direbbe subito che è un posto veramente strano: il silenzio qui regna per gran parte della giornata, quel silenzio talmente profondo che lo senti tutto intorno, che è materia e ti tocca se ti ci trovi dentro. La luce poi non è mai molto forte, sempre soffusa…come se il sole si fosse invecchiato e fosse tanto stanco. Ci sono però dei momenti in cui, come se il sole ringiovanisse, una gran luce arancione colpisce la superficie dell’acqua, una musica comincia a diffondersi nell’aria tutta intorno e una voce forte e perentoria inizia un lungo racconto…ed è proprio in momenti come questo che Trotsky vede tutte quelle persone avvicinarsi al suo “laghetto”, sospirare pensierose e con lo sguardo fisso verso il pavimento, sfiorare l’acqua per poi allontanarsi.

Trotsky se li ricordava bene gli insegnamenti del papà e, preso dalla paura di dimenticarseli, li ripeteva ogni mattina, come inizio di una nuova giornata. Sapeva di non potersi fidare mai delle carpe, degli ami e degli umani, e non voleva sbagliare! Ma ora era arrivato anche per lui il momento di diventare un pesce adulto…di cavarsela da solo; forse era stato proprio il papà a mandarlo in quel posto nuovo per vedere come se la sarebbe cavata da solo…Chissà!
Certo era convinto di quello che gli aveva detto suo padre, infondo non poteva certo sbagliare, né tantomeno ingannarlo; forse, però, non conosceva tanto bene gli umani, o aveva conosciuto solo quelli del lago che magari sono più cattivi.
Insomma, Trotsky ci aveva pensato e ripensato ma non riusciva a convincersi che quei signori che ogni tanto passavano di lì volessero fargli del male: non avevano ami, non avevano baffi come le carpe, e poi sembrava che volessero salutarlo con quel dito che sfiorava ogni volta l’acqua!

Quella mattina poi, c’era un’atmosfera talmente bella, un sole così limpido che finalmente riusciva a raggiungere obliquamente l’acqua e ne illuminava tutte le particelle…persino le squame di Trotsky sembravano più brillanti, più rosse! E poi quel vociare continuo ma discreto, quelle ombre che incessantemente si scorgevano dall’acqua e scappavano via; non c’era concitazione, ansia, nervosismo…tutto era armonioso, rassicurante!
Chissà che cosa stava per accadere? Chissà se Trotsky sarebbe mai riuscito a capirlo?
Infondo è lì tutto solo, senza uno straccio di pesciolino amico, senza una pinna contro la quale grattarsi…non ci sono neanche delle uova per poter sperare nell’arrivo di qualche nuovo amico!!!
Come vorrebbe tornare nel suo lago, poter stare ancora per un po’ sotto la calda pinna della mamma; affronterebbe e subirebbe anche gli sguardi delusi del suo papà pur di ritornare a casa, pur di non essere più solo…

Nel bel mezzo di tutta questa concitazione generale, però, proprio mentre Trotsky è assorto e catturato da tutti questi pensieri così tristi, ecco apparire oltre la superficie luminosa un faccione immenso, che copre tutto lo spazio non lasciando più scorgere lo sfondo. E’ la prima volta che qualcuno si avvicina così tanto all’acqua, è la prima volta che qualcuno, invece di immergere solo lievemente il polpastrello, sta evidentemente tentando di immergere tutto il viso…
Ecco ci siamo, pensa Trotsky, aveva ragione il papà, gli umani sono sempre cattivi e quel faccione è lì per dimostrarmelo. Ha sbagliato a credere nella bontà degli uomini, nel dimenticare quell’amo che costantemente pende sul capo di ogni pesce, nel pensare, proprio lui, di poter smentire l’esperienza di generazioni e generazioni di pesci!
Eccolo lì, il piccolo Trotsky davanti alla sua resa dei conti, stretto nelle pinne, appiccicato alla superficie laterale, spaventato e perciò ancora più piccolo, un pesciolino che forse non è ancora pronto per tutto questo…

“Ehi tu, che ci fai lì dentro? Dico a te pesciolino…mi senti?”
… … …? … … …!!! [PERICOLO-ALLARME ROSSO-ATTACCO UMANO FRONTALEEEEEEEEEE]

“Un pesciolino qua dentro, e chi se lo sarebbe mai aspettato…chissà come è arrivato sin qui! Che bello, ora lo dico alla mamma! -------------------------Anzi no, poi magari la mamma lo dice a Don Roberto e lo portano via! I grandi sembrano sempre così sicuri di ciò che è giusto e ciò che non lo è, basta esporre loro un problema ed eccoli subito con una risposta, anzi con la risposta adatta…a volte penso che prima di diventare grandi (però non so bene quando) ti facciano imparare a memoria un librone con tutte le risposte che dovrai dare nella vita, così da essere sempre preparato…Anche la mia mamma è proprio così, sicura di sé e di quello che dice; così mi sento al sicuro, mi sento al riparo dalla possibilità di fare la cosa sbagliata!------------------------------------

Anche se, in effetti, a volte non riesco bene a capire perché ciò che dice sia la cosa giusta: come quando si è infuriata perché ero diventato amico di un bambino del nostro quartiere…dice sempre che l’amicizia è importante, che i bambini devono stare insieme e poi?! “Quel bambino è un’eccezione!” aveva detto “non voglio che lo frequenti, né che vai a casa sua! E non si discute, chiaro?”

Eh già…alcune cose vanno spiegate e rispiegate [anche quando in realtà non sono mica tanto divertenti da ascoltare!!!] altre invece rimangono lì, intrappolate in un “non si discute”.-------------------
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La mamma non lo sa, ma a volte la guardo quando, mentre cucina, si ferma per un attimo, immobile, guarda un punto esatto tra le piastrelle e vedo formarsi, quasi impercettibile, quella piccola piegatura tra le sopracciglia; chissà cosa pensa in quei momenti, chissà quanto è distante dalla cucina, dalla padella che rosola sul fuoco, da me. Mi piace guardarla da lontano in quei momenti perché lo so che, per qualche istante, anche lei non è più tanto sicura…per un attimo si fa piccola piccola come me, e va alla scoperta di qualcosa di nuovo.
Mi piace guardarla perché in quel momento sono io ad essere sicuro, assolutamente certo che durerà solo pochi istanti, solo pochi attimi nei quali io non posso e non devo entrare; mi piace guardarla ed assaporare il tepore della ferma certezza che appena spunterò de quella porta, appena lascerò cadere qualcosa a terra, l’incantesimo si romperà e la mia mamma tornerà tranquilla a dispensare risposte e certezze a tutti noi.”
“Allora è deciso…questo pesciolino sarà un piccolo segreto! Sarà il mio piccolo segreto…anzi il nostro, non è vero piccolino? Infondo oggi è una giornata speciale, sono tutti impegnati e i bambini devono stare buoni e tranquilli…e allora perché disturbare i grandi per un semplice pesciolino? Chissà come ti chiami…come sei arrivato sin qui…chissà…”

Mentre dice così Andrea fissa quell’animaletto attaccato al fondo della “piccola piscina” e giocherella con il dito sfiorando la superficie dell’acqua. Tutti i grandi sono fuori intenti a mettere appunto gli ultimi dettagli della cerimonia, la signora dei fiori ha appena finito di posizionare le piccole composizioni sui banchi e il prete si affaccia ogni tanto per controllare come vanno le cose.

TROTSKY[1]” una vocina titubante e preoccupata riemerge dalla superficie di quel piccolo stagno improvvisato, e poi ancora “TROTSKY”.
                                                                                     ... ... ...continua... ....

[1] Per quanto riguarda l’etimologia del nome del nostro eroe, è necessario in questa sede ricordare l’origine orientale, ed in particolar modo siberiana, di questa particolare razza di pesce. Questo tipo di chiarificazione si rende necessaria a fronte delle possibili accuse di faziosità e parzialità mosse già in precedenza al nostro pesciolino (per altro “rosso” – la natura non lo ha aiutato di certo!).
Inoltre sembra utile specificare come il nonno del suddetto pesce, tale Igor Il, più noto in occidente come Lenny, sia immigrato nel nostro paese già in giovane età, risalendo le acque del Don e del Danubio prima, del Tevere poi; il pesce inoltre risulta regolarmente registrato all’ ufficio immigrazione (con tanto di pinna digitale) e sembra che la sua famiglia non abbia mai avuto contatti con organizzazioni legate al mercato “ittico”  per mano di giostre o circhi di alcun genere.
[Acipenser gueldenstaedtii ( storione russo ): lo storione è il più grande pesce d’acqua dolce diffuso in Europa. All'epoca degli amori abbandona i mari in cui vive abitualmente (Mar Nero, Mar Caspio) e risale i fiumi che in essi si riversano, spingendosi fino ai loro maggiori affluenti o, nel Danubio, fino a Bratislava. In genere vengono catturati esemplari lunghi 1,30 - 2,50 m e aventi un peso di 20 - 30 kg.]
Va tuttavia ricordato come nei secoli, la nobile stirpe del nostro Trotsky abbia privilegiato unioni miste e trans-raziali: questo può ben spiegare come l’ultimo esemplare della famiglia vanti delle dimensioni poco (pochissimo) superiori ad un semplice pesce rosso.

domenica 22 gennaio 2012

THIS COULD BE...

Ieri sono andata a vedere, con discreto ritardo, un film che immaginavo avrei trovato molto interessante: “This must be the place” di Paolo Sorrentino. Sono bastate poche immagini, infatti, per riportarmi subito a quelle forti sensazioni che avevo provato anni fa nello scoprire “Le conseguenze dell’amore”. Sono passati anni e ancora oggi non saprei descrivere cosa provo davanti a quel film: posso solo ricordare quel senso di apnea, una sorta di soffocamento senza ansia, senza paura.

E’ stata questa, dunque, la riflessione che ha occupato i miei pensieri già dai primi minuti; Sorrentino riesce a restituire, in un modo acuto e piccante, come un odore forte di spezie in un pomeriggio torrido, lo straniamento dell’uomo. Descrive situazioni particolari, personalità complicate, è vero, ma ben presto, nello snodarsi della pellicola, ti trovi immersa in quella sensazione e la riconosci come familiare, come se l’avessi provata anche tu. Quell’idea sottile di inadeguatezza, di squilibrio nei confronti del mondo, l’ingombrante sospetto di non essere a tuo agio nella tua vita. Infondo, che cos’è che ci appartiene più della nostra vita? Esiste qualcosa che sia più profondamente legato a noi, che ci determini e con il quale dovremmo sentire un’esatta corrispondenza? La sensazione che qualcosa stia sfuggendo, o meglio sia già sfuggito, non può quindi che suscitare in ciascuno un misto di paura, incredulità e dolore silenzioso.
Uno stridere di denti nel pieno della notte, una perdita di controllo.

Subito dopo, lo riconosco, ho pensato alla mia situazione: ero sola, giovedì pomeriggio, in un cinema che proponeva un cineforum dal quale tutti poi siamo scappati. Intorno a me (perché se sei da sola ti rendi conto di quante chiacchiere riesci a cogliere anche involontariamente), persone di mezza età, avvolte in cappotti e pellicce che parlavano di cinematografia, di scelte di regia, di attori validi e di meteore dello showbiz. E come al solito, mi sono ritrovata a domandarmi, quanto ne sapessero davvero, quanto ne raccontassero, quanto la simulazione potesse trarci in inganno tutti e con tanta frequenza. [ Sarà davvero simulazione o solamente la genuina convinzione di sapere quel tanto da poter formulare giudizi che profumino di competenza? O sarà vera competenza che non so riconoscere? ]

A questo punto, abbandonato l’ascolto della recensione degli ultimi film in programmazione, ritorno al mio film ed inizio la seconda riflessione: l’immagine della donna restituita dalla storia. In una realtà come quella odierna, in un mondo fatto di tributi, di onorificenze, di negazioni e di oltraggi, ho trovato davvero elegante il modo di raccontare una storia nella quale i personaggi sono quello che sono, persone complesse e non stereotipi da messaggio promozionale, da morale della favola. Ed è in questa complessità che ho potuto notare come le donne di questo film, sono diverse, singolari e imperfette, ma sono anche tutte dotate di una forza, di una capacità di sostegno incredibile. Gli equilibri delle vite dei personaggi sono tutti retti da donne forti, capaci di invecchiare, di stancarsi, di impazzire se necessario, ma sempre di costituire un punto saldo per chi sta loro accanto.

[ Le femministe, a tale riguardo, direbbero che questa altro non è che una nuova e pericolosa riformulazione dell’etica della cura, della convinzione, maschile e femminile, che le donne siano nate per accudire, per prendersi cura degli altri (mariti, figli, genitori anziani…), che lo facciano bene e che, per questo, debbano in qualche modo continuare a farlo. Chissà…]

Ci sarebbero tantissime cose da raccontare del film che ho visto, tanti piccoli dettagli molto affascinanti, evocativi: ma racconterò quello che credo sia il più importante. Chi è il protagonista? Un uomo di circa cinquant’anni, un ex (rock star, tossico, famoso, felice…), un uomo come tanti che non ha saputo riconoscere il momento in cui passare dal “sarò” all’ “avrei potuto essere”.
Dite che di queste persone se ne trovino poche al mondo? Io credo, invece, che tutti noi, specialmente noi, corriamo lo stesso rischio; credo che potremmo scoprirci adulti, anziani, senza essere mai cresciuti. Sembra un paradosso, un’assurdità.
La più frequente e possibile assurdità dei nostri tempi.
E’ questo lo straniamento più grande del film, e non serve essere delle rock star o dei tossici, per capirlo e per viverlo. C’è un punto del film, in cui il protagonista si domanda come mai non abbia mai cominciato a fumare, nonostante gli innumerevoli vizi si sia concesso in gioventù. A rispondergli ancora una volta una donna: solo i bambini non conoscono la tentazione del fumo. Nel suo caso, il non aver conosciuto questa tentazione era la dimostrazione evidente del suo essere rimasto nel profondo un bambino. Affascinante interpretazione.

Potrei continuare per ore su questo tema a me particolarmente caro; potrei continuare a domandarmi come mai non riusciamo più a diventare grandi. Dovrei integrare analisi sociologiche con riflessioni psicologiche, bilanci economici con considerazioni politiche. Ma questo sarebbe tutt’altro.
Rimane una bella quanto spaventosa restituzione cinematografica di quello straniamento che almeno io sento con forza dentro di me e nel mondo.

Dimenticavo: l’esistenza della possibilità di un riscatto, di un nuovo ciclo. La speranza.

mercoledì 18 gennaio 2012


PINNA 
D’  INGRANDIMENTO


            Una storia liberamente ispirata ad una vicenda “ quasi vera”….
…almeno quel tanto che basta per risultare incredibile!

Quella mattina c’era qualcosa di strano nell’aria: forse la luce era diversa, magari il vociare più confuso e concitato, i passi affannati rimbombavano nel tepore di quell’inizio di primavera.
Chissà che cosa succederà oggi di speciale?” si domandava un po’ perplesso Trotsky. In fondo, qualsiasi cosa stesse per accadere, sarebbe stata un po’ lontana per lui, destinato com’era a vederla e capirla solo portando il musetto a pelo d’acqua. 
E’ dura la vita del pesce, soprattutto del pesciolino rosso!” ripeteva sempre questa frase il suo papà…se la ricorda ancora Trotsky; e già a quel tempo, quando era ancora un pesciolino talmente piccolo da sembrare trasparente nei riflessi del lago, già da allora si chiedeva come doveva essere la vita del pesce adulto. Mentre cresceva, poi, il papà aveva iniziato a mostrargli i mille pericoli dai quali doveva difendersi: mai avvicinarsi ai pesci più grandi, soprattutto alle vecchie carpe che popolavano quel laghetto. Nonostante all’apparenza sembrino molto simpatiche (con quei baffoni!!!) e pacifiche, meglio non avvicinarsi mai quel tanto che basta da sembrare una facile preda, una soluzione veloce per il pranzo (Fast
Food: mi sembra dicano i mammiferi!!!).


Le alghe poi potevano diventare delle reti strettissime, delle trappole per qualsiasi pesce… e se ancora si è troppo piccoli per saper muovere la coda agilmente beh allora il problema diventa proprio serio!!!

Se c’era un momento, poi, in cui il papà alzava la voce e ti fissava con quegli occhi da trota, accorati e pieni di intensità, allora stava parlando del più grande dei pericoli, della trappola più temuta da ogni pesce, grande o piccolo che sia: l’amo[1].
L’inganno era astuto, diceva papà, il brillio argentato attirerebbe la curiosità di qualunque essere dotato di pinna, ( e probabilmente, si vociferava nel laghetto, anche i mammiferi non restavano certo indifferenti alla lucentezza ) e appena ti avvicini ecco che tutte le tue papille si risvegliano all’odore di qualche vermicello succulento. Qui al lago se ne trovano pochi di vermetti di quel genere, sono considerati proprio una rarità…altro che quelle uova di storione che i mammiferi tanto decantano e che chiamano, con superbia peraltro ingiustificata, “caviale”!
Ad ogni modo il messaggio che ogni bravo papà pesce rosso doveva trasmettere a suoi piccolini era, tanto per dimostrare come tutte le razze si assomiglino un poco, di diffidare dall’apparenza, di rimanere sempre vigili, soprattutto davanti ad un baffo simpatico o all’argento luccicante.

Tutti questi insegnamenti Trotsky li aveva capiti e se li ricordava molto bene…
Solo che continuava a domandarsi a cosa sarebbero potuti servigli ora; ora che non era più in un lago, ora che non c’erano carpe o ami, ora che le uniche presenze che riusciva a scorgere oltre la superficie dell’acqua erano i “mammiferi”, signori e signore che si avvicinavano, allungavano un dito per sfiorare l’acqua e se ne andavano. Nessuno sembrava minaccioso, nessuno tentava di prenderlo, forse nessuno lo aveva ancora visto! Talmente tanta, infatti, era la sua paura, che appena percepiva l’avvicinamento di qualcuno, Trotsky si faceva sottile sottile e si appiccicava alla parete. Qualche istante di “apnea” e poi… tutto tornava sempre come prima. Insomma, si poteva sostenere con discreta sicurezza che questi umani, per qualche strano motivo, sembravano non volergli fare del male.
Come diceva suo papà, però,  “la prudenza non è mai troppa, soprattutto con chi non ha le pinne!”.
Certo un piccolo inconveniente in questo posto c’era, va riconosciuto: niente alghe, né pesciolini minuscoli; con la manutenzione che fanno l’ossigeno non manca mai, ma probabilmente si sono dimenticati il cibo!!! !!! !!! Trotsky era lì ormai da qualche giorno e per ora si arrangiava, ma certo cominciava a domandarsi cosa avrebbe fatto se nessuno gli fosse venuto in soccorso.

                                      ... ... ... ... ... ... ... ... ...continua



[1] L’autore, in questo preciso momento, deve confessare l’irrefrenabile desiderio di comunicare al lettore una sua curiosità personale, probabilmente poco fondata: come mai l’amo, lo strumento attraverso cui i pesci vengono ingannati e pescati, si chiama proprio così. Deve considerarsi una casualità sfortunata la corrispondenza di questo termine con la prima persona singolare presente del verbo “amare”? Oppure esiste un significato più profondo? Rifuggendo, in questa sede, la tentazione ( per la verità poco allettante!) di gettarsi in una ricerca etimologica di qualche rilevanza, si preferisce ora rimanere nel dubbio, sicuramente romantico, di un significato antico e di un’origine lontana.
[ Se a qualcuno fosse tornata alla mente quella corrispondenza di matrice psicoanalitica tra Eros e Tanatos beh allora … …  … ma tutto questo cosa c’entrerebbe poi con i pesci??? Mah! ]