Qualche tempo fa esisteva, in un
paesino poco distante da questo, un medico molto particolare. (Ovunque tu sia, qualunque sia il tuo paese,
il luogo dove si svolge la nostra vicenda non sarà mai troppo distante da te.
Forse questi fatti accaddero proprio qui, nella porta accanto alla tua.
Qui più che altrove, infatti, si
dispone del tempo: il tempo per osservare il mondo e provare a capirlo, il
tempo per far decantare un sentimento, il tempo per interpretare il silenzio.)
Il dottor Misantropi era un uomo
di mezza età, capelli brizzolati, baffi folti, qualche chilo di troppo
soprattutto sulla pancia, e un bel colorito in viso a testimonianza della sua
buona salute; quando lo si incontrava per strada, mentre andava in ambulatorio,
salutava tutti con grande cordialità ed elargiva sorrisi a grandi e piccini. Un
medico impeccabile, insomma, dotato di quella cortesia e di quel calore che un
medico di famiglia dovrebbe sempre avere.
Purtroppo, però, su di lui si
erano sempre raccontate strane storie: alcuni raccontavano di medicinali bizzarri
e sconosciuti, altri erano entrati per una semplice influenza ed erano usciti
con ben altre convinzioni. In particolare, poi, si diceva che quando i pazienti
cominciavano a parlare di stress, di stanchezza e di “preoccupazioni della vita
quotidiana”, ecco che i suoi occhi si accendevano di una luce strana ed
iniziava i suoi discorsi.
Quali erano le malattie che amava
sconfiggere? La buona fede inconsapevole, l’ascolto viziato della propria
anima, l’incapacità di conoscere i propri sentimenti e dunque di indirizzarli.
“Gli uomini, troppo spesso –
amava iniziare così i suoi racconti – non si ascoltano fino infondo. Amano la
sicurezza, e non ammettono mai il dubbio: dicono di conoscersi bene e di sapere
con assoluta certezza quali sentimenti provano e quali invece no. Così quando
si arrabbiano, subito si affrettano a chiarire che è una rabbia moderata la
loro; quando sono felici, quando amano, invece, il loro amore è rivolto al
mondo intero, in un abbraccio che tocca realtà che neanche possono immaginare.”
A questo punto, il dottore abbassava lo sguardo, si sfilava gli occhiali ed
iniziava a lucidare una lente con un lembo del suo maglioncino di lana.
“Non vorrei certo essere troppo
diretto, né tantomeno vorrei mai spaventarla. Ma credo fermamente e
clinicamente che il suo più grande problema ora nasca dalla rabbia. Lei è
terribilmente arrabbiato, ed è il primo sentimento che la accompagna ogni
mattina. D'altronde, chi potrebbe biasimarla: ha lavorato una vita, spesso
sacrificando gli affetti e gli svaghi, ed ancora non vede la possibilità di
riposarsi; i suoi figli, per i quali ha tanto lavorato, non riescono a
costruirsi una vita.
Il tanto lieto fine sembra
proprio non arrivare! Ogni giorno lo slogan è sempre lo stesso: le cose non
cambieranno per ora, bisogna pazientare.
Questo, poi, per quanto riguarda
la società, senza pensare ai suoi problemi personali che non conosco, ma che ci
saranno sicuramente.”
Alcuni, già dopo queste poche ma
incisive parole, si alzavano e se andavano, soprattutto se avevano bambini da
difendere: i bambini non devono ascoltare queste cose, non devono scoprire che
il mondo non è come una favola. Devono crescere con le nostre stesse illusioni
e devono convivere, poi, con la nostra stessa delusione.
“La cura? Lei deve riconoscere a
se stesso la rabbia che prova. Tutti noi dovremmo farlo. Non mi guardi in quel
modo, tutte le cure all’inizio ci sembrano difficili e, infondo, non le
comprendiamo mai abbastanza. Queste pillole la aiuteranno per i primi tempi:
non si preoccupi, non sono psicofarmaci, sono slatentizzatori di sentimenti, tutto qua.” A questo punto, si
sfilava lentamente gli occhiali ed inizia a scrivere quegli strani nomi:
“Mis-Oginex”, “Misantropax in gocce”, “Omofobina” e così via.
“La rabbia, se non viene
riconosciuta, se viene semplicemente repressa si radica nelle nostre menti fino
a diventare odio. L’odio è pericoloso perché ci legittima a distruggere
l’oggetto odiato, che si tratti di oggetti o di persone.”
A questo punto della discussione,
si narra che ogni paziente, con un’espressione indignata in volto, si alzava e
se andava, promettendo spesso di non farvi più ritorno. Nessuno sembra aver mai
ascoltato la fine del discorso; ma il dottore, si narra, l’abbia sempre
pronunciata:
“L’odio nasce dalla paura e solo
gli stolti pensano di non provarne. Sarebbe un mondo migliore se si odiasse con
consapevolezza: si odierebbe molto meno.
Non siate sciocchi, non
nascondetevi dietro un dito.
Quel dito, è sicuro, l’avete già
puntato contro qualcuno.
Non esiste un eroe senza un
cattivo, né una civiltà senza un nemico.
E’ l’unico modo, infondo, per
fuggire all’ indifferenza.
Ma attenzione, non travisate:
Bisogna maneggiare con cautela!
Anzi, con consapevolezza!”