"La gente a tutto è disposta a rinunciare, fuorchè ai propri errori."

(Indro Montanelli)







lunedì 17 dicembre 2012

IL DOTTOR MISANTROPI


Qualche tempo fa esisteva, in un paesino poco distante da questo, un medico molto particolare.  (Ovunque tu sia, qualunque sia il tuo paese, il luogo dove si svolge la nostra vicenda non sarà mai troppo distante da te. Forse questi fatti accaddero proprio qui, nella porta accanto alla tua.
Qui più che altrove, infatti, si dispone del tempo: il tempo per osservare il mondo e provare a capirlo, il tempo per far decantare un sentimento, il tempo per interpretare il silenzio.)

Il dottor Misantropi era un uomo di mezza età, capelli brizzolati, baffi folti, qualche chilo di troppo soprattutto sulla pancia, e un bel colorito in viso a testimonianza della sua buona salute; quando lo si incontrava per strada, mentre andava in ambulatorio, salutava tutti con grande cordialità ed elargiva sorrisi a grandi e piccini. Un medico impeccabile, insomma, dotato di quella cortesia e di quel calore che un medico di famiglia dovrebbe sempre avere.
Purtroppo, però, su di lui si erano sempre raccontate strane storie: alcuni raccontavano di medicinali bizzarri e sconosciuti, altri erano entrati per una semplice influenza ed erano usciti con ben altre convinzioni. In particolare, poi, si diceva che quando i pazienti cominciavano a parlare di stress, di stanchezza e di “preoccupazioni della vita quotidiana”, ecco che i suoi occhi si accendevano di una luce strana ed iniziava i suoi discorsi.

Quali erano le malattie che amava sconfiggere? La buona fede inconsapevole, l’ascolto viziato della propria anima, l’incapacità di conoscere i propri sentimenti e dunque di indirizzarli.
“Gli uomini, troppo spesso – amava iniziare così i suoi racconti – non si ascoltano fino infondo. Amano la sicurezza, e non ammettono mai il dubbio: dicono di conoscersi bene e di sapere con assoluta certezza quali sentimenti provano e quali invece no. Così quando si arrabbiano, subito si affrettano a chiarire che è una rabbia moderata la loro; quando sono felici, quando amano, invece, il loro amore è rivolto al mondo intero, in un abbraccio che tocca realtà che neanche possono immaginare.” A questo punto, il dottore abbassava lo sguardo, si sfilava gli occhiali ed iniziava a lucidare una lente con un lembo del suo maglioncino di lana.

“Non vorrei certo essere troppo diretto, né tantomeno vorrei mai spaventarla. Ma credo fermamente e clinicamente che il suo più grande problema ora nasca dalla rabbia. Lei è terribilmente arrabbiato, ed è il primo sentimento che la accompagna ogni mattina. D'altronde, chi potrebbe biasimarla: ha lavorato una vita, spesso sacrificando gli affetti e gli svaghi, ed ancora non vede la possibilità di riposarsi; i suoi figli, per i quali ha tanto lavorato, non riescono a costruirsi una vita.
Il tanto lieto fine sembra proprio non arrivare! Ogni giorno lo slogan è sempre lo stesso: le cose non cambieranno per ora, bisogna pazientare.
Questo, poi, per quanto riguarda la società, senza pensare ai suoi problemi personali che non conosco, ma che ci saranno sicuramente.”

Alcuni, già dopo queste poche ma incisive parole, si alzavano e se andavano, soprattutto se avevano bambini da difendere: i bambini non devono ascoltare queste cose, non devono scoprire che il mondo non è come una favola. Devono crescere con le nostre stesse illusioni e devono convivere, poi, con la nostra stessa delusione.

“La cura? Lei deve riconoscere a se stesso la rabbia che prova. Tutti noi dovremmo farlo. Non mi guardi in quel modo, tutte le cure all’inizio ci sembrano difficili e, infondo, non le comprendiamo mai abbastanza. Queste pillole la aiuteranno per i primi tempi: non si preoccupi, non sono psicofarmaci, sono slatentizzatori di sentimenti, tutto qua.” A questo punto, si sfilava lentamente gli occhiali ed inizia a scrivere quegli strani nomi: “Mis-Oginex”, “Misantropax in gocce”, “Omofobina” e così via.

“La rabbia, se non viene riconosciuta, se viene semplicemente repressa si radica nelle nostre menti fino a diventare odio. L’odio è pericoloso perché ci legittima a distruggere l’oggetto odiato, che si tratti di oggetti o di persone.”

A questo punto della discussione, si narra che ogni paziente, con un’espressione indignata in volto, si alzava e se andava, promettendo spesso di non farvi più ritorno. Nessuno sembra aver mai ascoltato la fine del discorso; ma il dottore, si narra, l’abbia sempre pronunciata:
“L’odio nasce dalla paura e solo gli stolti pensano di non provarne. Sarebbe un mondo migliore se si odiasse con consapevolezza: si odierebbe molto meno.
Non siate sciocchi, non nascondetevi dietro un dito.
Quel dito, è sicuro, l’avete già puntato contro qualcuno.

Non esiste un eroe senza un cattivo, né una civiltà senza un nemico.
E’ l’unico modo, infondo, per fuggire all’ indifferenza.

Ma attenzione, non travisate:
Bisogna maneggiare con cautela! Anzi, con consapevolezza!”