L’equa Italia, l’Italia equa. Assurdo.
Assurdo chiamare così l’agenzia di riscossione tributi, anzi
affascinante paradosso.
E’ un paradosso e tutti avremmo dovuto saperlo, da sempre.
Chi ha creduto nell’equità, chi ha creduto semplicemente
alla possibilità della giustizia proporzionalmente distribuita, ha sperato
troppo.
E non c’è nessuna amarezza in questo.
Assurdo ancora di più in Italia (fuori da ogni tipo di
demagogia).
Solo che è assurdo pensare che un popolo di furbi per
definizione (e probabilmente anche per vocazione), di persone perbene
soprattutto per quel che gli interessa, riuscisse ad avvicinarsi almeno un po’
all’idea di equità.
Ciascuno di noi la rivendica, ma ciascuno di noi se ne
discosterebbe volentieri se venisse a suo vantaggio. [ E’ il difetto più grande
di questo concetto. Un cane che si morde la coda.]
Evidentemente però, sentimentali come siamo, ci avevamo
creduto almeno un po’: almeno quel tanto che basta ora per indignarsi davanti
ai suicidi, alle proteste di piazza, alle uova.
Almeno quel tanto che basta per spaventarci davanti al
terrorismo, ai dirigenti gambizzati, all’ombra delle BR e di un’Italia che
sembrava lontana secoli da qui.
Fuori da ogni demagogia, spero.
Perché il politico parla di giustizia e, al massimo, immagina
un compromesso.
Il prete parla di giustizia, guarda il cielo e pensa alle promesse.
E noi ancora a cercarla, a pretenderla, spesso a pagarla.
Come andar per campi a cercare un quadrifoglio: non sai se
c’è, ma sai quanto comunque sarebbe difficile trovarlo.
Che dipenda dal sistema economico o dall’equilibrio
politico, che dipenda dall’inconsistenza dell’ideale o dall’irriducibile
inumanità dell’uomo, non è il momento di domandarselo.
Comunque, è una questione più grande di noi, più grande del
vivere quotidiano.
Più grande delle lacrime, delle tensioni, delle cartelle
esattoriali; più grande delle minacce delle banche, della mensa a scuola negata
ai bambini, del welfare ridotto all’osso; più grande dei ragazzi che hanno
tanta voglia e nessun lavoro, di quelli che la speranza l’hanno ormai persa,
dei grandi, troppo grandi per non avere più un lavoro; più grande del cappio
che in un modo o nell’altro abbiamo imparato a costruirci.
Questo accade, mentre si cerca l’ equità, in giro per
l’Italia, in giro per il mondo.