Il blu è il colore della sobria eleganza, dell’ordine e della disciplina, della tranquillità e dell’equilibrio; è la prima volta che Viola lo pensa, che lo ripete a se stessa come un mistero svelato, come il dischiudersi improvviso e luminoso di una verità risolutiva, come quando risolvi un rebus.
In realtà, però, lo aveva sempre saputo: la mamma da bambina la vestiva sempre di blu la domenica mattina per andare in chiesa, di blu per i pranzi con i parenti e di blu ad ogni occasione mondana che si presentasse alla loro famiglia. Ricorda bene quella gonna a pieghe così pesante, lunga sino alle ginocchia ed oltre, che avvolgeva tutta la pancia, e solleticava le costole; ogni volta che la indossava, insieme alla camicetta bianca con il pizzo e il gilet blu, Viola veniva assalita da una sensazione di costrizione, credeva che quella gonna prima o poi le avrebbe tolto il respiro. Si immaginava, non senza un po’ di sadismo (ora lo capiva) di piombare a terra nel bel mezzo di un pranzo dagli zii o, ancora meglio, appena arrivati durante quel baratto confuso di baci e carezze: saluti retorici.
Eppure non ha mai avuto un malore, ha portato in silenzio quella gonna per tutto il tempo che la mamma ha ritenuto opportuno, ha assistito in silenzio al logorio del tempo, alla rottura della lampo; un silenzio tale da non ricordare nemmeno il giorno della sua liberazione definitiva.
Da quel giorno irrintracciabile nel quale quel tessuto è uscito dalla sua vita, Viola non ha più indossato nulla di blu, non ha nemmeno più acquistato nessun oggetto di quel colore. Unica eccezione i jeans, che però erano così lontani nella sua mente da quella gonna a pieghe!!!
Viola apre gli occhi, ecco ci siamo di nuovo…è in piedi, immobile, c’è una grande nebbia, quasi come se l’aria, se ogni singola molecola fosse diventata in parte solida e non lasciasse trasparire nulla. Si trova in una stanza circolare, come la hall di un albergo, vuota. Davanti a lei tante porte, tutte chiuse, da alcune traspare una flebile luce, da altre il buio totale. Il silenzio rimbomba.
Non è la prima volta che le capita, spesso si è trovata in questo luogo negli anni, è la sua “stanza blu”: la prima volta le è capitato la sera, nel momento in cui il sonno e la veglia si mescolano e si entra in quello stato tutto particolare di semicoscienza. Per uscire da quella stanza, l’unico modo è aprire una porta, quella giusta, pensava Viola all’inizio; quasi come in un quiz o in un reality show, avrebbe dovuto tentare la fortuna e scegliere una porta per vedere dove l’avrebbe portata!
Ma con il tempo, si accorse che la sfida non era questa.
In quella stanza l’aria pesa, grava sulle spalle, sulle braccia e attraversa tutta la schiena spingendoti a terra. Devi resistere, devi riuscire a muoverti, devi arrivare ad una porta, una qualsiasi, devi assolutamente uscire di lì.
Dietro le porte si sentono voci, musiche o silenzio…dietro ogni porta abita una possibilità diversa: per Viola sono tante le possibilità, c’è la voglia di costruire una carriera, di trovare soddisfazione in un’attività nella quale possa riconoscersi, di emanciparsi. C’è anche, però, il bisogno di essere amata, di condividere la vita con qualcuno, di accettare ed essere accettata. Dietro un’altra porta ci sono i viaggi che non ha ancora fatto, i cieli che non ha ancora visto, i visi che avrebbe voluto conoscere o che potrebbe conoscere senza volerlo. La gioia, la serenità.
Oltre quel muro, oltre tutte quelle porta esiste un futuro, il futuro possibile di Viola, e lei continua a chiedersi perché si trova lì ferma, perché non ha aperto tutte le porte e non è scappata al di là, perché semplicemente esistono quelle porte, quella dura materia a frapporsi tra lei e ciò che potrebbe essere, tra lei e la sua speranza di esistere.
Mentre si chiede questo eccola lì, paralizzata sotto il peso dell’aria, sotto il peso della materia, incapace di muovere un solo passo, incapace di desiderare profondamente qualcosa, incapace di immaginare la possibilità di stare maglio.
Sa bene cosa si nasconde dietro quei muri nella sua mente, e quanto vorrebbe essere lì…
Ma non riesce neppure a pensare che questo possa essere possibile, non riesce a credere che potrebbe essere felice, magari un giorno, magari in un futuro non troppo lontano.
E’ paralizzata perché la sola possibilità di muovere qualche passo, sotto quel peso ossessivo le sembra così lontana, quasi impossibile.
Chissà la mamma cosa farebbe, se potesse aiutarla, chissà se avesse amato quella gonna o se invece l’avesse strappata, chissà…
Viola passa molte serate nella sua stanza blu e non ne è felice; ci sono momenti in cui riesce ad avvicinarsi ad una porta e ad aprire anche solo uno spiraglio, poi ricomincia a nutrirsi di speranza. Ci sono, invece, dei momenti nei quali la paralisi ha il sopravvento e allora l’unica soluzione è aspettare che arrivi il sonno a salvarla e a strapparla per un po’ dalle sue paure.
Anche quello di Viola è un non-luogo, il non-luogo dell’anima. L’umore depresso. In quella stanza blu regna il silenzio, l’impossibilità di essere, il vuoto che si respira e soffoca. In quel blu confluiscono molti colori, vengono assorbiti, ma non riflessi. In quel blu si mescolano le vite di molte persone, le loro paure.
Come il ghiaccio che ricopre ogni cosa, ne rispetta i contorni ma li paralizza e ne congela il cuore. In attesa della primavera…
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