"La gente a tutto è disposta a rinunciare, fuorchè ai propri errori."

(Indro Montanelli)







venerdì 29 giugno 2012

A GARA DI RICORDI - MISS OLOCAUSTO

Non servono preamboli né note introduttive: appena qualche giorno fa si sono tenute in Israele
le finali di un concorso volto all’individuazione di Miss Olocausto. Ultrasettantenni da tutto il paese sono accorse per parteciparvi.

Perplessità.
Astuto ricatto etico e logico che ti lascia perplessa, incapace di dare un qualsiasi giudizio che, per lo meno sul momento, ti sembri adeguato.

Basta un istante per cadere nella retorica, nella “faciloneria”, nel pericoloso moralismo da bar dello sport. Un istante, un confine sottilissimo a dividere te da quello che la tua mente potrebbe o dovrebbe pensare.

Allora ti arrampichi all’empirico: cominci a guardare le foto di quelle belle vecchiette che hanno condiviso un’esperienza tra le più assurde che il mondo possa ricordare; che sono state tutte umiliate ed uccise, anche se sembrano ancora in vita.

Donne rinate, donne che hanno avuto soprattutto la forza di andare avanti, di respirare ancora, quando il solo pensare all’accaduto toglierebbe il respiro a chiunque. Donne che non hanno rinunciato alla bellezza, perché lo sanno, che solo questa potrà davvero salvare il mondo.

E allora quasi ti convinci.
Quasi.

Perché una donna che ha sofferto non dovrebbe avere il diritto alla frivolezza? Perché non può giocare, se ancora conosce il segreto del gioco?

Ma poi ti fermi e senti tutti gli argomenti affollarsi nella tua mente, tocchi la complessità senza vederla chiaramente.

Perché il diritto di ogni donna, come di ogni essere vivente, inteso come individuo singolo è fuori discussione.

E’ la categoria che lascia perplessi; è l’incapacità di non essere altro che una sopravvissuta, di presentarsi, per lo meno in quella sede, sempre e solo per quello che è stato subito.
E’ l’emancipazione mozzata.

Retorica da un lato e moralismo dall’altro.
In tutta onestà, non riesco a formulare un giudizio.
Non lo so se è stata una bella idea o soltanto una macabra reinterpretazione kitsch in chiave contemporanea di qualcosa che, invece, andrebbe maneggiato con molta più cura.

Non lo so.
Io, leggendo, il bello non l’ho incontrato, ma forse loro sì. 

giovedì 28 giugno 2012

UNA PIOGGIA DI CURIOSITÀ

Ci sono momenti nei quali, in una maniera del tutto inspiegabile ed incomprensibile, l’atto di sfogliare il giornale o di scorrere le notizie lungo una pagina web assume le tinte acide di una frivolezza imperdonabile.

Assurdo; sarebbe davvero assurdo, in via del tutto teorica, perché suonerebbe come l’esatta inversione di quanto ci è sempre stato insegnato. Una ribellione immotivata.
Necessità di tenersi informati, curiosità da nutrire e coltivare affinché cresca ogni giorno di più, capacità di essere migliori conoscendo il mondo, anche passando per la carta stampata, quotidianamente stampata.

Se lo fai, se almeno provi a farlo, segui la strada giusta, riconosci le tue priorità, migliori il mondo rendendoti un cittadino consapevole e capace. Utile, fuori da ogni retorica.

E quante notizie ci sarebbero, poi, da leggere: la cronaca (il più delle volte nera, o almeno di un grigio molto scuro), la politica (fonte inesauribile di sfumature continue, di cavilli impalpabili, di illusioni grandiose  e di promesse mancate: un’epica moderna privata, però, di una fondazione etica). Non dimentichiamo poi la famosa terza pagina, la cultura, ricca di eventi, spettacoli, libri in uscita, programmazione tv. Ogni tanto qualche nuova scoperta scientifica e ogni giorno un nuovo dispositivo super tecnologico, “high tech”, a semplificare le nostre vite.
Alla fine, poi, un posto sicuro se l’è guadagnato anche la chiacchiera disimpegnata, il racconto dell’inciucio, la curiosità voyeuristica di spiare nella vita degli altri, necessariamente famosi certo: il gossip imperante che guadagna spazio, inchiostro e visibilità.

Niente da dire.
Come ogni mattina, niente da dire.
Perché se si celebra la curiosità, la libertà, non si può certo biasimare la molteplicità, l’arricchimento, l’idea che ogni lettore possa trovare qualcosa di interessante, qualcosa per lui.
L’ambizione più lodevole della democrazia.

E’ la dinamica, però, che non convince.

Perché poi capita di notare, infondo infondo alla pagina, una serie di foto, l’una accanto all’altra, per arricchire ancora di più la nostra mente di altre notizie, una sorta di piccoli doni per chi ha il coraggio e la voglia di arrivare fino in fondo. Beh, proprio laggiù, accanto ai calciatori riprodotti al museo delle cere e all’attore che smentisce la propria omosessualità baciando la moglie in pubblico (che poi c’è da chiedersi in questo caso dov’è la notizia e dove sarebbe la smentita) è davvero stridente trovare la foto di un signore sommerso dall’acqua che tiene stretto un ombrello:
“Bangladesh, un centinaio di morti per piogge torrenziali.”

Quel che è peggio?
Un’organizzazione grafica di questo tipo lascia a te, lettore, l’imbarazzo per aver temporeggiato sulla nuova fidanzata del calciatore o dell’attore, sugli eventi di costume e sulle curiosità; imbarazzato perché eri davvero sicuro di aver letto tutta la cronaca nella prima parte della pagina; imbarazzato, soprattutto, perché infondo lo sai bene anche tu che morire in Bangladesh, perché ha piovuto troppo non diventa quasi mai una notizia, rimane semplicemente un’informazione, destinata a perdersi tra le altre.
Tante altre.

Sempre se hai la voglia e il coraggio di arrivare infondo alla pagina però. 

mercoledì 27 giugno 2012

LA DEBOLEZZA DEL DITTATORE

Si può veramente ironizzare su ogni cosa? Esistono dei limiti oltre i quali si sfocia inevitabilmente nel cattivo gusto? Si può ridere del male, delle ingiustizie, della follia umana?

Questioni note, interrogativi comuni, domande retoriche.

Innanzitutto credo dipenda dalla disposizione d’animo con la quale ci si metta in ascolto, si decida di sentire e di vedere. Quando ascoltiamo l’altro, si sa, non sempre possiamo essere d’accordo con lui, non sempre impareremo qualcosa di nuovo da ciò che ci dirà, non sempre sarà una bella esperienza.

Ed è il semplice conoscere questa realtà che ce la renderà accettabile e, tutto sommato, piacevole.

Proprio con questa disposizione si guarda il mondo, si ascolta una canzone, si legge un libro, si vede un film: la soddisfazione non è affatto garantita e non può mai esserlo, essendo il frutto di una difficile combinazione tra gli occhi di chi guarda (o le orecchie di chi ascolta) e la volontà di chi comunica.

Così pensando sono andata all’appuntamento con Sacha Baron Cohen e il suo “Dittatore”, con il dubbio invadente, devo confessarlo, che la demenzialità non fosse proprio nelle mie corde, non fosse un occhiale con il quale io avrei mai potuto leggere la realtà.

Dopo qualche istante, però, ecco subito l’ingresso nella parodia, nella parodia della parodia, nell’assurdo che si fa narrazione: un dittatore demente, con progetti banali e poco ponderati, intento unicamente all’autocelebrazione personale. La tirannia, l’aspetto dispotico e sanguinario emergono solamente nel momento in cui l’altro (chiunque esso sia) mette in dubbio il mondo egocentrico alacremente creato e, spesso, immaginato.

[Ancora l’idea, inevitabile quando si descrivono i “cattivi”, che infondo non siano poi così cattivi o almeno la consolazione per la quale non siano poi così intelligenti e potenti.]

Molti i riferimenti divertenti ai despoti reali, quelli che hanno fatto paura al mondo e che realmente hanno dettato regole assurde alle quali non si è potuto o voluto per anni rispondere. Non mancano, ovviamente, gli interessi economici, gli accordi tra stati, i tradimenti politici.

Ma cosa succederebbe poi se, per un buffo caso del destino, un dittatore si ritrovasse privo della sua identità ufficiale, nel centro di quell’Occidente tanto odiato e combattuto? Cosa succederebbe se l’unica persona in grado di aiutarlo rappresenti (sempre in maniera caricaturale) tutti i valori ai quali ha dichiarato guerra negli anni?

Qui, il rischio della retorica, anche nella demenzialità, è abbastanza forte, con l’amore che migliora le persone, salva il mondo e ricostruisce equilibri ideali. E allora il dittatore che attraversa la crisi interiore, scopre di non essere mai stato amato dal suo popolo, scopre l’inganno e cerca dei sentimenti più autentici.

Per fortuna, il rischio di un agghiacciante lieto fine è sventato in extremis con un classico compromesso dove, come sempre, nessuno si scontenta, ma nessuno si accontenta.

“Si cambia tutto per non cambiare niente.” Scriveva Tomasi da Lampedusa
E sembra proprio che questo valga sia nella democrazia, quanto nella dittatura.

Che sia un rischio calcolato o una rassegnazione programmatica?





Si può ridere di ogni cosa?
Non lo so. Non so quanto c’entri il rispetto, quanto la paura.
Credo solo di avere il dovere di ridere, il dovere della leggerezza, in tempi in cui questa o non esiste o viene scambiata per una sciocchezza.

martedì 12 giugno 2012

OGGI, UN BAMBINO

Riapro il giornale, errore banale.

Apro il giornale, scorro nel web, politica, cronaca, crisi economica.
Ieri la Grecia che sta per cadere, oggi le banche spagnole da salvare.
Da noi la presunta lotta tra il tecnico ed il politico, l’eterno conflitto tra l’esperto serioso ed l’incapace simpaticone. Ammesso esista davvero un’alternativa.

Salto la cronaca.
Gli omicidi passionali mi hanno “mediaticamente” stancato, la violenza sulle donne che continua e cresce, gli uomini infelici, depressi, tutto in un ritmo perpetuo: prima l’ipotesi ciarlatana, la supposta spiegazione professionale e, infine, la condanna emotiva che ci dovrebbe riunire tutti in un forte abbraccio.
Sarà per questo che preferisco una certa distanza, una sana distanza.

Cosa c’è di nuovo oggi?

Unicef: 215 milioni di bambini coinvolti nel lavoro minorile in tutto il mondo. Più della metà svolge “attività a rischio” come schiavitù e sfruttamento sessuale.

Siria: Onu”Mai vista tanta brutalità. I bambini vengono torturati, mutilati e uccisi. Poi i soldati li mettono sui carri armati.”

Silenzio.
Perché se solo hai mantenuto un contatto, un piccolissimo canale di comunicazione con il tuo io bambino, con quello che sei stato, non puoi non rimanere in silenzio.
Il punto non è vedere i bambini intorno, sorridere loro e pensare a quanto sono carini, giocherelloni e spensierati; il punto non è neppure, per quanto efficace probabilmente potrebbe essere, avere dei figli propri ed immaginare per loro qualcosa in meno di un’eterna e smisurata felicità.
(Chiedo scusa qui per l’evidente luogo comune, utilizzato soprattutto per enfasi, piuttosto che per profonda convinzione)

Ad ogni modo non credo sia questo il punto, non credo sia questo il punto di vista dal quale guardare a questa realtà.
I bambini non hanno la loro essenza nella bellezza del guardarli, nella tenerezza delle loro parole, nell’illusione delle loro piccole anime.

L’innocenza, simbolo spesso travisato: perché l’innocenza è di chi non ha colpa, non di chi non capisce cosa sia la colpa. E i bambini, con una logica a volte molto più lucida della nostra, la capiscono bene.

Loro sono persone, persone in potenza: persone che vivono, che guardano, che capiscono. Nel colpire loro, non colpiamo chi non può comprendere, solo chi non può reagire; noi stiamo cambiando il modo in cui quelle “piccole persone” guarderanno il mondo d’ora in poi.
Lo stiamo cambiando per sempre.

“Tutti i grandi sono stati bambini una volta.
(Ma pochi di essi se ne ricordano.)”            Antoine de Saint Exupéry

Questi bambini se ne ricorderanno, e anche se fingeranno di aver dimenticato, si domanderanno per tutta la vita, nelle loro anime rotte, cosa poteva poi significare infondo essere felici.

Silenzio.

venerdì 1 giugno 2012

CERIMONIALE

2 Giugno o non 2 Giugno? Questo è il problema…
Già perché ormai siamo talmente arrabbiati, stanchi, delusi dall’Italia che ci hanno cucita addosso e dalla quale difficilmente potremo liberarci (almeno in breve tempo), che ad andarci di mezzo è stata proprio la festa, forse, più importante di tutte. (Oggi più che mai)

Quanto c’entra veramente il terremoto in Emilia?
Quanto ne sa il terremoto della condizione del nostro paese?
[Effettivamente ha avuto un tempismo impeccabile, lui, giusto in tempo per rinfrancare una rabbia già dilagante. E per uccidere delle persone certo…ma in questi casi c’è sempre da chiedersi, con grande onestà, chi le abbia davvero uccise.]

C’entra il terremoto, se provoca, suo malgrado, un’ulteriore accisa sui carburanti.
C’entra perché per fare una celebrazione, per organizzare una parata delle più prestigiose forze armate del paese ci vogliono soldi. Gli stessi soldi del carburante.

Soldi in “tempo di crisi”.
Soldi in “tempo di terremoto”. (o in “terra di terremoti”)

Ma il valore simbolico? La necessità di ribadire e ricordare? La voglia di farlo.
La necessità di riconoscersi in qualcosa di più grande che ci unisce; la volontà di fondare un cosmopolitismo maggiormente consapevole e saldo. La possibilità di trovare un ruolo in Europa, nel mondo.

L’italiano cha ancora s’ha da fare.

Certo, se guardi da vicino (vicino al tuo estratto conto, vicino al modulo di disoccupazione, vicino a tuo figlio che non potrà godere del termine emancipazione, e vicino alle macerie della tua casa o del tuo capannone, costruiti prima e costruiti male), beh allora del valore simbolico, del messaggio di riconoscimento e coesione nazionale te ne importa ben poco.
La lungimiranza non è dote per disgraziati, ma è proprio nella disgrazia che c’è più spazio per vedere oltre, come davanti ad una “tabula rasa” l’orizzonte diventa inevitabilmente più vicino, più possibile. (Paradossale…)

Certo però, se guardi da lontano, se guardo da lontano vedo sempre la stessa cosa, lo stesso antico meccanismo: la “guerra dei poveri”. Illusi di poter scegliere, illusi di poter anche solo penetrare le ragioni profonde che muovono il mercato; illusi che l’alternativa non possa essere altro che tra l’accisa del carburante e la parata del 2 Giugno.

L’illusione crea i mostri, l’illusione di chi non può capire, l’illusione di chi ci ha detto che ci si deve rassegnare.

Sempre questione di illusione; o semplicemente di prospettive.