"La gente a tutto è disposta a rinunciare, fuorchè ai propri errori."

(Indro Montanelli)







venerdì 30 marzo 2012

E LO CHIAMANO WELFARE

Come ogni giorno, come ogni mattina aprire il giornale, accendere la tv e confrontarsi con il mondo. Entrare in contatto con il fuori che sempre ti riserva novità belle o brutte, semplicemente notizie.

Tu sei quella in un piccolo rettangolo chiuso, in un pacchetto, come la televisione per chi la guarda.
Fuori il tutto, l’inaspettato per definizione.

E questa è la teoria.

In pratica oggi apri il giornale e scopri che un altro uomo ha tentato di uccidersi, si è incendiato.
Come è successo? Quattro mesi dopo l’ultimo stipendio.

Secondo anche nella notizia. Perché già il giorno precedente, un suo “collega” aveva proposto la stessa soluzione per sé: aveva lasciato i saluti, le scuse ed era uscito con la tanica piena, verso la commissione tributaria.
Tassato da morire.

Fa sconcerto l’abitudine, per uno strano gioco di parole.
Fa sconcerto il fatto che non ce lo crei più.

Senza retorica, senza polemica.
Non c’è ora da adottare un’invettiva da sindacalista, né un argomento di partito.

Allora richiudo il giornale, silenzio.

Quando la cronaca si mescola con la politica il potenziale è alto, il rischio sempre amaro.


venerdì 16 marzo 2012

CORRENDO A CASA

Stazione di Borgo San Antonio h. 06:29
Una mattina come le altre, come tutte le altre: il freddo di un inverno che non vuole finire e costringe tutti ad un tremolio assonnato, un sole che pallidamente fa capolino e concede la speranza di una bella giornata, finalmente una bella giornata. E’ passato solo qualche giorno da quando la neve lentamente si è sciolta, liberando prima gli alberi ed i tetti e poi le strade; i monti invece rimangono ancora abbelliti ed illuminati da quella soffice coltre. Con la neve, però, non se n’è ancora andata quell’aria gelida che tiene in scacco l’intera regione ormai da molti mesi: ai fiocchi subito si è sostituita la pioggia, una pioggia torrenziale e violenta, di quelle che battono forte sui vetri, che non puoi dimenticare neppure in casa, a letto. Questa mattina, perciò, l’aria intorno è fredda ed umida, le strade sono tutte bagnate e brillano al sole, svelando quella lieve pellicola di gelo che le ricopre. Ma stamattina sembra proprio che il sole ce la farà, si farà largo tra quella coltre di nuvole spesse e grigiastre e troneggerà nel cielo regalando a tutti un po’ di luce e di buonumore.

Così pensa Ezio, il giornalaio della piccola stazione: lui è sempre uno dei primi ad arrivare. “I pendolari passano un terzo della loro vita in treno, ci pensate? C’era scritto così ieri sul giornale cittadino. Quella povera gente è costretta ad un continuo partire e tornare senza sosta, mangiano panini, dormono seduti, deve essere un incubo! Per questo credo che sia un dovere lasciar loro almeno il piacere di avere il loro giornale preferito da sfogliare!” Ezio, vuole esprimere questo suo pensiero a tutti coloro che passano per la sua edicola, magari di sfuggita, magari in partenza e spesso riprende il discorso anche nei momenti di pausa nel piccolo bar accanto. Di solito lo si può trovare lì verso le dieci del mattino, con un croissant in mano e in attesa del solito cappuccino, corto ma con molta schiuma. Ester, la signora che gestisce il bar, pazientemente soddisfa tutte le esigenze del giornalaio, ma anche quelle degli autisti, dei signori del paese e, soprattutto, dei viaggiatori. Quel piccolo bar è la grande soddisfazione della sua vita: venuta in Italia dall’Ungheria ormai una decina di anni fa, Ester si era barcamenata tra lavori di pulizie ed assistenza anziani; quella possibilità le era apparsa un’ottima idea, una soluzione ai suoi problemi, un modo per mandare più soldi alla sua famiglia lontana. Il lavoro è molto faticoso ma qui, in questa piccola stazione, aveva trovato una piccola famiglia.

E’ incredibile infatti come proprio la stazione, il posto più popolato di un piccolo centro come quello, fosse in realtà un rassicurante luogo dove la regolarità e la routine regnano sovrane. Per le persone che lavorano lì, infatti, il tempo è scandito dalla voce che annuncia l’arrivo dell’ennesimo treno; nessun ritardo inoltre può scuotere quelli che, in ogni caso, non devono partire. I pendolari poi sono come dei fantasmi che ti sfiorano e poi se ne vanno: in fondo loro non vogliono essere visti, perché quella non è ancora la meta della loro giornata. Per loro il passaggio in stazione ed il viaggio in treno è come per qualsiasi altro il tempo che intercorre tra la sveglia e l’entrata a lavoro, una lunga attesa dell’inizio definitivo. Quelli che arrivano, invece, sono talmente rari che non riesci ad abituarti, possono arrivare in ogni momento, con lo sguardo perso e confuso. Loro almeno ti guardano, e lo fanno con un’aria spaventata e supplichevole mentre ti chiedono come arrivare in paese, già consci di quanto si siano allontanati dal caos rassicurante della grande città. Tutte queste figure, in ogni caso, non hanno nulla a che fare con questo luogo, credono di possederlo perché è fatto per loro, per la transizione; in effetti è stato costruito ed ideato affinché possano passarvi, giorno dopo giorno, decine di persone dirette altrove. Magari anche quegli ambienti così ampi e quei muri vuoti e pallidi servono proprio a rendere al passante ancora più invisibile quel passaggio. Questo posto deve esistere ma non deve essere visto, osservato; non deve avere attrattive ma solo fornire delle agevolazioni che permettano a chi passa di non notare nulla. L’essenza stessa qui sta nell’andare altrove; ciò che si desidera è guardare oltre quel che c’è, e che non può in nessun modo scomparire. In realtà però sia Ester sia Ezio lo sanno bene, che quel posto può essere visto e vissuto, perché è di chi resta, non di chi parte o torna, solo loro possono realmente vedere oltre la fruizione, solo loro possono scorgervi una casa.



“Il treno numero 9765 in arrivo da Milano e diretto a Roma è in arrivo al binario 2.          
Allontanarsi dalla linea gialla”