Eccoci tutti sul grande baraccone procediamo a fatica
attraverso questa nuova prova di democrazia, e, a guardarci bene da vicino, il
simbolo sul quale mettere una croce sembra quasi il problema minore.
Grottesco è il modo ancor più del risultato.
Così, dopo mesi di campagna elettorale serrata, giocata su
scandali economico- finanziari, promesse smisurate, scontri indiretti ed accuse
precise, il loro lavoro finisce qui, davanti a questa scheda; davanti ad ognuna
di queste schede.
Qui la differenza dovremmo farla noi, si dice: la società
civile che si riscatta e dimostra, al di là di ogni difficoltà sostanziale, di
essere ancora migliore di chi è chiamato a rappresentarla. Argomento quanto mai
romantico.
Ed è proprio qui che l’amarezza si fa ancora più forte: al
di là di cosa accadrà, al di là di ogni possibile risultato e della sua
inevitabile parzialità, sorge il legittimo sospetto.
Sarà il pressappochismo, la polemica facile, l’informazione
non verificata, il sentito dire. Sarà il grido affrettato al complotto sempre e
comunque, la supposta interpretazione delle schede e delle croci nei seggi, la
matita da leccare per renderla indelebile. Ma sarà anche quell’ingiustificato
entusiasmo nel fotografare la propria scelta: macabra illusione di libertà. Sarà,
come sempre stato, solo il prezzo di un voto.
Sarà davvero tutto qui?