Una persona normale, io. Tanti sacrifici ed ora siamo felici: due figli che stanno crescendo e che ci stanno piacendo. Perché mica piacciono sempre i figli: ti dicono che dovrebbe essere così, ti dicono che è una questione di sangue e che, quando toccherà a te, capirai.
Poi è toccato a me, e ho capito che non è proprio così. Anzi, a dire il vero, l’ho capito molti anni prima di conoscere i miei figli, quando ho conosciuto meglio mio padre: lui, mentre la mamma si riempiva la bocca dell’amore materno, del “solo un genitore può capire”, stava zitto e, ogni tanto, mi guardava fisso, sotto quelle sopracciglia folte.
Mi ha voluto molto bene, quello è sicuro, ma piacersi è un’altra cosa, è proprio tuta un’altra cosa.
E’ brutto da dire e soprattutto da capire quando sei un ragazzino, quando se non piaci nemmeno ai tuoi, ti domandi come potrai mai piacere a qualcun altro. Deludere loro, soprattutto a quell’età, corrispondere a deludere te stesso, perché ancora non sei altro che l’idea che loro hanno avuto di te. Poi, però, gli anni passano veloci e quasi non c’è tempo di crucciarsi e ti può capitare, come è capitato a me, di ritrovarti grande e tranquillo, di aver capito bene quello che era successo: i figli si amano a prescindere (che poi mi sa che non è sempre nemmeno così), ma non è affatto detto che ti piacciano.
Infondo neppure i figli si scelgono, proprio come i genitori: puoi provare ad indirizzarli, a consigliarli, a plasmarli come vorresti, ma non tutti siamo dei bravi architetti. La verità.
Così io non piacevo un granché al mio babbo, non facevo le battute giuste, non sorridevo quando avrei dovuto, non sprigionavo quella piacevolezza che avrebbe voluto da me. Questioni di pelle.
Ora sono passati tanti anni, di acqua ne è passata un bel po’ sotto i ponti, sembra quasi un’altra vita.
Oggi tocca a me: sto conoscendo meglio i miei figli, il loro modo di parlare, di muoversi, le scelte che pretendono di fare, quelle delle quali non si vogliono giustificare. Mi piacciono i miei ragazzi, mi piacciono tanto.
Ne ho due: un maschio che ormai ha vent’anni e la testa incasinata persa, e una femmina in piena adolescenza e in piena crisi esistenziale: con i brufoli troppo grandi, proprio come la rabbia che vorrebbe sfogarci addosso. A volte, mi fa persino paura con quegli occhi rossi, che ti guardano fissi, con un livore di cui non riesci a capire l’origine.
Ma io sono un tipo tranquillo, lascio scorrere; sto sereno ed ammortizzo l’agitazione degli altri.
Non è, forse, questo che fa qualsiasi babbo?
Simone corre in moto, gli è sempre piaciuto un sacco: sin da bambino si emozionava tantissimo quando sentiva il rombo di un motore, iniziava a tremare e rimaneva fisso, con il naso in aria nella direzione dalla quale proveniva il rumore.
Appena ha potuto ha cominciato a chiederci espressamente di gareggiare, sembrava l’unica cosa che avesse senso per lui, l’unico senso che volesse trovare per la sua vita.
Con la mamma ha avuto un po’ più da discutere per convincerla, con me è bastato un attimo, uno sguardo; forse mi son fatto fregare dall’orgoglio, dalle parole di chi mi diceva fosse un campione, dalla voglia di dimostrare a lui quanto mi piaceva quello che era diventato, chi era diventato.
Si dice che i figli non si fanno per sé ma per il mondo, ed io ero troppo contento di consegnarlo al mondo così com’era, lo avrebbe arricchito.
Volevo dirgli assolutamente che non avrei voluto un figlio diverso, almeno io.
Quali fiori si scelgono, come si organizza una cerimonia come si deve?
E’ andata male. Sapevamo che sarebbe potuto succedere. Lo sapeva pure lui, ma continuava. Continuava a fare quello che sapeva fare, proprio come tutti noi; ognuno ha un lavoro da fare e lo fa, senza star tanto lì a pensare a come le cose potrebbero andare...o non andare.
Ci è concesso di scegliere poche cose nella vita, non possiamo scegliere i genitori, né i figli; non possiamo scegliere i fiori, quei fiori là non li vedremo mai.
A me, almeno, mio figlio piaceva un bel po’!
Nessun commento:
Posta un commento