Dove si annida la speranza? Esiste davvero un luogo fisico o
mentale dove possiamo localizzarla?
A volte, probabilmente più spesso di quanto pensiamo, questo
sentimento così sottile e tenace viene riposto, in maniera più o meno
cosciente, in un oggetto la cui esistenza per noi rappresenti un simbolo.
Tema mille volte sviscerato, in forme e declinazioni sempre
nuove.
Una di queste è stata data in un film che mi è capitato di
vedere qualche giorno fa: “Castaway on
the moon”. Seul contemporanea. Con grande delicatezza e con una forte
capacità di descrivere il senso di soffocamento dell’uomo moderno, si narrano
le vicende di un aspirante suicida che, convinto di porre fine alla propria
vita gettandosi in un fiume, si ritrova in realtà su un’ isola disabitata.
Alla disperazione dei primi momenti, alla rabbia per non
essere riuscito neppure ad interrompere la propria esistenza, segue un nuovo
inizio: riparte dai semi, dalla possibilità di coltivare del mais e delle
piantine che un giorno gli permetteranno di assaporare nuovamente un piatto di
spaghetti. Quel solo pensiero riesce a giustificare le mille difficoltà
quotidiane e a farlo sopravvivere.
Non sa ancora, però, che dall’ altra parte della riva c’è
qualcuno che si è accorto di lui e che lo osserva, nella sua ormai deliberata
scelta di rimanere sull’ isola. E’ una giovane ragazza, sfregiata in volto ma
soprattutto ferita nell’ anima che ha scelto di non vedere più nessuno e di non
uscire più dalla propria camera. Vive una vita parallela sui social network e
l’unica cosa del mondo che riesce a calmarla è l’osservazione notturna della
luna. Di giorno, invece, si concede di guardare il mondo solamente nei giorni
in cui l’esercitazione rende le strade deserte.
Ed è in uno di questi giorni che scopre il nostro naufrago e
la sua, ormai dimenticata, richiesta d’aiuto sulla sabbia. Così inizia la loro
conoscenza, fatta di messaggi nella bottiglia che arrivano sull’isola di notte
e di enormi risposte sulla sabbia. Così una ragazza ricomincia, seppur con
tutte le cautele, ad uscire di casa almeno per qualche istante.
Un giorno, poi, deciderà di mandare al suo nuovo amico un
piatto di spaghetti con i fagioli, pietanza di cui il naufrago conservava
malinconicamente la confezione; l’uomo, però, rifiuta il dono.
La sua spiegazione? La speranza. Quel piatto di spaghetti
già pronto avrebbe potuto finire per distruggere in lui la speranza. Quello
stesso sentimento che gli aveva permesso di sopravvivere, di organizzarsi e di
iniziare a provare nuovamente soddisfazione, rischiava di essere ucciso in un
istante da un piatto troppo facile da mangiare.
E così con questa storia bizzarra ricordiamo che la speranza
è sempre stata lì, in un obiettivo che ci poniamo, in un futuro che vogliamo
raggiungere, nell’ aspettare qualcosa che magari un giorno arriverà.
Una nuova ed affascinante declinazione per un tema che ci
accompagna da sempre e che ci caratterizza come esseri umani.