Si può veramente ironizzare su ogni cosa? Esistono dei limiti oltre i quali si sfocia inevitabilmente nel cattivo gusto? Si può ridere del male, delle ingiustizie, della follia umana?
Questioni note, interrogativi comuni, domande retoriche.
Innanzitutto credo dipenda dalla disposizione d’animo con la quale ci si metta in ascolto, si decida di sentire e di vedere. Quando ascoltiamo l’altro, si sa, non sempre possiamo essere d’accordo con lui, non sempre impareremo qualcosa di nuovo da ciò che ci dirà, non sempre sarà una bella esperienza.
Ed è il semplice conoscere questa realtà che ce la renderà accettabile e, tutto sommato, piacevole.
Proprio con questa disposizione si guarda il mondo, si ascolta una canzone, si legge un libro, si vede un film: la soddisfazione non è affatto garantita e non può mai esserlo, essendo il frutto di una difficile combinazione tra gli occhi di chi guarda (o le orecchie di chi ascolta) e la volontà di chi comunica.
Così pensando sono andata all’appuntamento con Sacha Baron Cohen e il suo “Dittatore”, con il dubbio invadente, devo confessarlo, che la demenzialità non fosse proprio nelle mie corde, non fosse un occhiale con il quale io avrei mai potuto leggere la realtà.
Dopo qualche istante, però, ecco subito l’ingresso nella parodia, nella parodia della parodia, nell’assurdo che si fa narrazione: un dittatore demente, con progetti banali e poco ponderati, intento unicamente all’autocelebrazione personale. La tirannia, l’aspetto dispotico e sanguinario emergono solamente nel momento in cui l’altro (chiunque esso sia) mette in dubbio il mondo egocentrico alacremente creato e, spesso, immaginato.
[Ancora l’idea, inevitabile quando si descrivono i “cattivi”, che infondo non siano poi così cattivi o almeno la consolazione per la quale non siano poi così intelligenti e potenti.]
Molti i riferimenti divertenti ai despoti reali, quelli che hanno fatto paura al mondo e che realmente hanno dettato regole assurde alle quali non si è potuto o voluto per anni rispondere. Non mancano, ovviamente, gli interessi economici, gli accordi tra stati, i tradimenti politici.
Ma cosa succederebbe poi se, per un buffo caso del destino, un dittatore si ritrovasse privo della sua identità ufficiale, nel centro di quell’Occidente tanto odiato e combattuto? Cosa succederebbe se l’unica persona in grado di aiutarlo rappresenti (sempre in maniera caricaturale) tutti i valori ai quali ha dichiarato guerra negli anni?
Qui, il rischio della retorica, anche nella demenzialità, è abbastanza forte, con l’amore che migliora le persone, salva il mondo e ricostruisce equilibri ideali. E allora il dittatore che attraversa la crisi interiore, scopre di non essere mai stato amato dal suo popolo, scopre l’inganno e cerca dei sentimenti più autentici.
Per fortuna, il rischio di un agghiacciante lieto fine è sventato in extremis con un classico compromesso dove, come sempre, nessuno si scontenta, ma nessuno si accontenta.
“Si cambia tutto per non cambiare niente.” Scriveva Tomasi da Lampedusa
E sembra proprio che questo valga sia nella democrazia, quanto nella dittatura.
Che sia un rischio calcolato o una rassegnazione programmatica?
Si può ridere di ogni cosa?
Non lo so. Non so quanto c’entri il rispetto, quanto la paura.
Credo solo di avere il dovere di ridere, il dovere della leggerezza, in tempi in cui questa o non esiste o viene scambiata per una sciocchezza.
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