Morire in tutte le lingue del mondo.
Morire in ogni modo e in ogni tempo.
Morire anche se non l’abbiamo ancora accettato.
Soccombere nostro malgrado.
Ma infondo è pur tuttavia vero sopra ogni cosa che di morte ce ne intendiamo; e la conosciamo sopratutto perché l’abbiamo utilizzata, praticata, inflitta.
Noi, gli ancora vivi quante persone abbiamo già ucciso?
Quale giorno migliore per pensarci…
Perché la gente non ce la fa, non ha i soldi sufficienti, non ha la forza d’animo, semplicemente non è dell’umore per vivere ancora. Perché la gente lo sa, lo sa che ormai non basta più.
Non siamo più sufficienti per il mondo; il mondo non è più sufficientemente umano per noi. Non siamo abbastanza: sempre la solita storia.
Perché se la depressione è il male del secolo, il malcontento diffuso ne è il maggiore interlocutore. La convinzione ormai radicata che le cose non possano andar meglio, che non c’è niente da migliorare e che, anche se ci fosse, mancherebbero comunque gli strumenti per farlo.
PARALIZZATI DALLA TESTA IN SU.
Forse dal cuore.
Si può parlare di morte anche senza parlare di guerra, di assassinii o del male nella sua versione “ufficiale”. Il male di contrabbando produce ogni giorno sofferenza “in nero”; un surplus di evasione che paghi comunque a caro prezzo.
Perché si paga sempre il proprio conto, anche sopravvivendo in mezzo a questa morte quotidiana.
Soprattutto. Asfissia.
Allora rifletti, pensi, ti penti.
Espii per quel che puoi, per quel che senti.
Quale giorno migliore…
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