Oggi mi sono imbattuta in uno di quei bigliettini stampati con i quali si viene ringraziati per aver partecipato al cordoglio di qualcun altro. Bruttini eh?! Bianchi, con quelle poche parole stampate in un carattere sobrio, le due striscioline nere sull’angolo, che traspaiono già dalla busta con la loro gravità.
Attimo di silenzio fisiologico.
Senso di oppressione inspiegabile ma delicato.
Meglio, quella sottile sensazione di non comprendere bene.
Silenzio riflessivo.
Mi sono chiesta come mai avessimo ideato questa forma di ringraziamento, questa ennesima formalità con la quale si chiude ufficialmente tutta la pratica del “trapasso” ( che modo violento per definire la morte eh?!).
Penso. Penso che infondo non voglio parlare di morte.
In realtà sto pensando proprio alla vita, a noi, all’umanità.
[ C’è stato un periodo nel quale ringraziavo sempre tutti per ogni cosa: non era manierismo, era pessimismo. Strisciavo nella vita silenziosamente, in modo da disturbare il meno possibile.
Per quello che potevo evitavo ogni rumore dato dalla semplice presenza e, dove non potevo arrivare, ringraziavo a testa bassa, ma di cuore. ]
Ringraziare per aver provato un sentimento di partecipazione e di pietà (pietas) nei nostri confronti. Non è strano? Ti ringrazio, e ti invio anche un biglietto, perché io ho subito una perdita (come si dice spesso, tergiversando) e tu hai pensato di starmi accanto in qualche maniera.
Una volta mi sono sentita dire “ti amo” e, così sul momento, ho risposto “grazie”.
Ho sentito stridere la mia risposta: semplicemente non era “appropriata”.
Non si può ringraziare qualcuno per i sentimenti che prova, non si deve. Non è un merito provare dei sentimenti, di qualsiasi natura essi siano, se lo fosse non sarebbero sentimenti ma riflessioni.
[ Lasciamo intatta almeno questa libertà. ]
E’ un’invasione di campo, infondo.
Quale frustrazione per chi si sente ringraziare: se ha provato un sentimento sincero, autentico si sentirà svuotato, derubato, violato nel suo mondo interiore, intimamente svelato.
Ai sentimenti bisogna credere sulla parola, meglio sull’azione.
Spesso basta semplicemente lo sguardo.
Interpretare, ragionare, pontificare sul sentire altrui è pericolo, forse addirittura ingiusto.
Lo stesso vale anche per un semplice “grazie”.
Se, invece, stiamo parlando semplicemente di “maniera”, beh allora è tutto un altro pensare.
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