"La gente a tutto è disposta a rinunciare, fuorchè ai propri errori."

(Indro Montanelli)







mercoledì 9 maggio 2012

NON TEMERE


                                                                                                             - Per tutte le donne -                                                                  

Non temere per la mia felicità.

Te lo ripetevo sempre e mi coccolavo nell’idea della tua preoccupazione; scusami se ne ho goduto appena, mentre continuavo a ripetermi che solo chi ti ama davvero si preoccupa perché tu sia felice.

E gli anni passavano lenti ed inquieti, cambiavano gli sfondi, i paesaggi: come ogni vita, indecisa tra la sicurezza di ciò che c’è e la noia di ciò che sembra non cambiare proprio mai.
Banale quotidianità, ecco tutto.

Ovvia anche la mia irrequietezza, la voglia di cambiare qualcosa, piccoli accorgimenti per ritrovare l’entusiasmo. Scusami se ti ho ferito, ma non ti avrei mai cambiato. Solo che le donne amano disegnare gli ambienti, costruire i sapori, decorare la sostanza, lo sai.
Avresti dovuto saperlo, esserne certo.

Pensavo ai bambini, al futuro, a quanto di nuovo sarebbe arrivato e non ne avevo paura.
Non pensavo non avessi capito, non pensavo fosse possibile non capire.

“Non temere per la mia felicità!” dicevo, e non capivo.
L’unica cosa che non ho mai capito era proprio questa: non temevi che non fossi felice, ma che lo fossi troppo, che lo fossi senza di te, che ti estromettessi così di botto da me.
Tu che solo eri la mia felicità, io che non sapevo di essere una semplice proprietà.
Timore immotivato. Pensavo.
E pensavo bastasse dirtelo, rassicurarti.

Ma era già troppo tardi: io continuavo la mia vita con l’uomo che ricordavo di aver incontrato, tu serbavi rancore alla donna che credevi di non riconoscere più.

Non temere.
Solo questo era rimasto, e lo dicevo a me stessa.
Non temere, attaccati all’idea che hai, al ricordo di lui e nutrilo affinché esista ancora.
Se ci credi capirà, lo sentirà; deve esistere un modo per ritrovare un contatto.

E i giorni passavano lenti ed inquieti, sempre più inquieti. Non c’era più spazio per la noia, né per la voglia. Le pareti del mondo diventavano sempre più strette, soffocavano lo sguardo.
Rimaneva una casa, una preoccupazione incessante e la sensazione di qualcosa di rotto.

Rimaneva il sospetto, il controllo, la rabbia che offende.
Quando ancora mi era concessa l’indignazione. Poi solo il dubbio.

Quante volte ti ho chiesto di credermi? Quante di perdonarmi per qualcosa che non avevo commesso?Ed ora cosa resta?

Che io sia in un letto d’ospedale, in una casa famiglia o in una fredda lapide, non temere.
A te tocca ora domandarti cosa è successo, a te fare i conti con la consapevolezza;se un giorno riuscirai di nuovo a pensare a me, non temere.
Solo ora ho capito.

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