Stamattina, davanti a quel giornale, a quella solita pagina grigiastra, questo mi ha colpito.
E dire che il caso mediatico, almeno un po’ c’era; se muori sul lavoro, sei stato beffato; ma se stavi montando il palco di Laura Pausini (o di Lorenzo Jovanotti o dei Radiohead, tanto per ricordare quanti palchi sono crollati negli ultimi mesi) allora almeno due parole sui Tg nazionali, un trafiletto sul quotidiano te lo meriti.
E vivi, anzi muori, di “luce riflessa”, “all’ombra di un sogno”.
Non è poca cosa, forse il massimo che ti puoi aspettare.
Certo non vale la pena parlare di giustizia, di verità, di merito.Troppo incomodo.
Ma vale per tutti, più o meno.
Perché bisogna decidere, volenti o nolenti, quanto vale la vita di un essere umano; conteggiando l’età, l’aspettativa di vita, la paga mensile, i legami istituzionalizzati.
Estremo tentativo di annientare il fato; desiderio tutto umano di controllo.
Ma dire ad una famiglia che la loro perdita vale 1.936,80 Euro è un’altra cosa.
Dire che una giovane vita, passata a lavorare tanto per pochi soldi, in qualche modo si è intrinsecamente svalutata anche davanti alla morte è lontano dalla verità, dalla moralità, dalla responsabilità.
Più vicino solamente all’interesse unilaterale.
Finché lo leggi ti indigni, ma poi gira pagina, sei costretto a girare pagina.
Una veloce archiviazione segue una subitanea indignazione.
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